Fashion meets sustainability di Laura Sfiligoi

Al giorno d’oggi la parola sostenibilità viene associata a moltissime industrie, tra le quali troviamo anche quella della moda.
La domanda che sorge spontanea è: “Perché associamo il concetto di sostenibilità all’industria della moda?”
Perché la moda è la seconda industria più inquinante al mondo, seconda solo a quella petrolchimica.
La moda è stata infatti responsabile della produzione di 2106 Milioni di tonnellate di CO2eq nel 2018, numero che è destinato a crescere a 2740 Milioni di tonnellate nel 2030 se non intraprenderemo delle azioni concrete per ridurre l’impatto di questa industria.
È effettivamente difficile immaginare che la produzione dei nostri vestiti, accessori e scarpe possa essere talmente impattante da rendere la moda la seconda industria più inquinante al mondo.
Per meglio comprendere quale sia il reale costo sociale ed ambientale di questa industria è necessario vedere con i propri occhi il livello di inquinamento che abbiamo raggiunto.
Le immagini del film The True Cost, uscito nel 2015, mostrano il lato nascosto della produzione dei nostri capi e il reale costo sociale ed ambientale ad essa collegati.
Nel film, tra le altre scene, vengono mostrati siti produttivi in cui i lavoratori sono ricoperti di sostanze coloranti; vengono mostrati gli sversamenti di sostanze tossiche nei fiumi in seguito alla produzione dei nostri vestiti e vengono mostrate montagne di nostri vestiti che finiscono in discarica a causa delle nostre nuove abitudini consumeristiche.

Infatti, ogni secondo viene buttata o incenerita una quantità di capi pari ad un camion a carico pieno.
Negli ultimi anni abbiamo iniziato a comprare sempre più capi di abbigliamento, circa 60-80 nuovi capi l’anno, che corrisponde al 400% in più rispetto a 20 anni fa.
Il problema è che ci siamo abituati anche ad usare questi capi sempre di meno: ci sono indumenti che non vengono usati più di 7 volte e alcuni che addirittura non vengono mai usati, perché magari comprati in super saldo a 3euro senza che ci piacessero particolarmente, convinti di fare un affare.
Queste nuove abitudini sono state principalmente causate dal fenomeno della Fast Fashion, che offre continuamente nuovi capi a prezzi bassissimi e qualità altrettanto scarsa.
Non è difficile capire come mai siamo arrivati a tanto, se pensiamo che alcuni brand di Fast Fashion lanciano più di 20 nuove collezioni all’anno.
Questo vuol dire che nel momento in cui usciamo dal negozio, ciò che abbiamo comprato è già vecchio, perché ci sarà qualcosa di nuovo che arriverà la settimana successiva e che ci porterà a guardarci allo specchio e sentirci sempre fuori moda, facendoci entrare nel circolo vizioso del compra-usa-butta.
Si potrebbe erroneamente pensare che non comprando da questi brand non si contribuisca a creare questo inquinamento: in realtà, anche delle scelte che possono sembrare più sostenibili hanno dei lati e dei costi nascosti.
Ad esempio il cotone, fibra naturale, è una pianta che ha bisogno di molta acqua.
Per fare una T-shirt di cotone servono infatti 2700 litri di acqua; se consideriamo che una persona dovrebbe bere più di due litri di acqua al giorno, questa quantità è pari a quella che una persona beve in più di 2 anni e mezzo.
Queste sono solo alcune delle cause che rendono la moda una delle industrie più inquinanti al mondo.
Per fortuna ci sono delle soluzioni sostenibili che permettono di ridurre il nostro impatto sull’ambiente.
Cotone Biologico
Il cotone biologico, ad esempio, permette di risparmiare circa il 90% di acqua rispetto a quello standard. Questo perché la coltivazione del cotone, come quella di qualunque altra pianta, se fatta in maniera intensiva non rispetta il ciclo biologico del terreno, rendendolo meno fertile e meno capace di trattenere l’acqua. Di conseguenza, ne servirà di più per coltivare la stessa pianta.
Tintura in capo
La tecnica della tintura in capo permette di ridurre notevolmente gli sprechi. Tradizionalmente, nel mondo della moda, esiste un minimo d’ordine in termini di metri di tessuto già tinto. Questo vuol dire che se devo produrre 10 capi, dovrei ordinare tessuto per farne 15, decidendo se comunque produrre i 5 capi in eccesso (magari poi faticando a venderli o addirittura arrivando a svenderli per rientrare dei costi) oppure mettendo in magazzino il tessuto in eccesso, sperando di poterlo utilizzare in futuro. Buttandolo se così non fosse.
Con la tintura in capo invece si utilizza tessuto grezzo (di colore neutro), si confeziona il capo e solo allora si tinge, producendo e tingendo solo ciò che serve e che si è sicuri di vendere.
Si potrebbe scegliere anche di creare dei capi con un design senza tempo, che possano essere di moda per molti anni. Ciò non vuol dire che dobbiamo vestirci tutti uguali e in maniera basic, perché esistono dei brand che associano ad uno stile timeless un’attenzione al dettaglio che rende i capi moderni ed eleganti.
Produzione On Demand
La produzione on demand consiste nel produrre il capo solo quando c’è una persona che lo ordina, e che quindi lo desidera davvero. Ovviamente, questo tipo di produzione ha tempistiche differenti rispetto a quella standard, perché dopo l’ordine dovrà essere messa in moto una macchina produttiva che comporterà dei tempi di attesa più lunghi per il cliente finale. Ciò vuol dire che chi ordina dovrà aspettare per ricevere il suo capo, imparando quindi a desiderarlo e dando ad esso un valore diverso.
Fashion Sharing
Infine, il fashion sharing (o fashion renting), permette di ridurre gli sprechi, perché un capo può essere utilizzato da più persone. In realtà, questa tecnica è utile anche per provare dei capi che ci incuriosiscono, capendo se effettivamente ci piace come ci stanno e se sono fatti per noi.
I numeri legati all’inquinamento causato dall’industria della moda sono sconcertanti e la quantità di sprechi veramente preoccupante.
Fortunatamente, esistono dei brand che credono che la moda non debba esistere a discapito della vita o della salute delle persone o del pianeta, dei brand che hanno fatto della sostenibilità un punto cardine del loro modello di business. Potete trovare alcuni di questi brand su The Green Runway, un blog che contiene interviste a marchi che producono capi sostenibili e al tempo stesso belli ed eleganti.
Un indizio fondamentale per capire se un brand è davvero sostenibile o se sta facendo greenwashing è proprio la trasparenza. In generale, chi condivide informazioni dettagliate sui propri materiali, sui propri metodi di produzione e addirittura sui propri fornitori, crede davvero in una transizione sostenibile.
Cosa fare?
Come consumatori, anche noi dobbiamo fare la nostra parte: possiamo scegliere indumenti in tessuto organico o certificato GOTS, acquistare dei capi che pensiamo di poter indossare per più stagioni, affidarci ai sempre più comuni servizi di fashion renting o acquistare da brand che riducono gli sprechi grazie alla produzione on demand o alla tecnica della tintura in capo.
Infine, il consiglio d’oro per capire se un marchio che si proclama eco-friendly lo è davvero è quello di spendere del tempo per controllare la sezione sostenibilità, per capire se davvero ciò che produce è a basso impatto ambientale o meno e se valga la pena di riporre in esso la nostra fiducia.
È grazie alle nostre scelte responsabili che possiamo davvero fare la differenza e contribuire a ridurre l’inquinamento causato da questa industria e ognuno di noi può fare la sua parte.